Ho un cliente cacciatore. Ogni tanto mi regala un cinghiale, una quaglia, un fagiano. Tutto molto gradito e a cui abbino sempre ottimi vini.

La scorsa settimana vado a trovarlo nella sua sede perché questa volta sono io ad avere bisogno di fare un piccolo acquisto da lui.

Mi accoglie festante come sempre, mi offre il caffè, mi porta in giro per tutta la sede, mi propone quel che ha e chiudiamo l’accordo. Oggi le parti si sono invertite.

Poi mi porta sul retro del suo ufficio, dice che ha una sorpresa per me.
Entriamo dentro una vera e propria casa in cui alle pareti ci sono teste di cinghiale e caprioli impagliate. Non sono un amante di certi macabri arredamenti, fingo stupore tanto per dargli soddisfazione.

Dal freezer a pozzetto tira fuori un sacchetto e tutto sorridente me lo porge “un cosciotto, saranno 3 chili, anche 3 e mezzo!”
Ringrazio con tutte le cerimonie del caso, ma i doni non sono finiti.

Mi indica un’altra porta e mi conduce dentro una stanza adibita a cantina. Fusti di acciaio, damigiane e condizionatore perennemente acceso per mantenere la temperatura del vino. Roba da professionisti.

Indica il fusto più grande, “questo qui è il vino che faccio io, te ne do qualche bottiglia così te lo bevi col cinghiale”
Deglutisco imbarazzato perché non voglio dirgli che a casa mia mancherà pure il cibo ma il vino proprio mai e soprattutto difficilmente entra vino fatto da dilettanti, “fai il vino?”
“Da quando sono ragazzo! Non ho mica iniziato ieri. Faccio il vino nostrale… oh, non ci metto mica niente dentro! Non ce n’è qui di roba chimica”
“Niente niente, eh?”
Orgoglioso gonfia il petto, “niente schifezze chimiche, questo qui è genuino, questo qui è vino naturale

Ho un conato che trattengo a fatica.

Appena a casa devo assolutamente sapere cosa c’è dentro queste bottiglie, spero solo che non escano spiriti maligni.
Faccio saltare il tappo di plastica e mi tranquillizzo: se qui ci fossero stati spiriti maligni sarebbero già morti per la puzza.

Verso un bicchiere, tanto per essere sicuro della prima impressione. Un liquido rosso pallido e velato sporca il bicchiere, scivola lungo le pareti e mentre lo fa sprigiona tutto il suo mefitico aroma di fogna e cadaveri.

Apro la seconda bottiglia. La terza. La quarta.

Chiamo la ricicleria per sapere quando sono aperti per il ritiro di rifiuti pericolosi e inquinanti, non mi fido a versare nel lavandino questa roba.

Ed è questo il “vino naturale”: fermentazioni a caso di organismi casuali che niente hanno a che fare col vino (ma con la decomposizione sì). 

In particolare, questo vino non è semplicemente “cattivo” o “fatto male”. Questo vino è proprio tossico. Non ho idea di cosa ci sia dentro, non possiamo sapere chi o che cosa ha guidato la fermentazione e che prodotti di scarto ha tirato fuori. Un vino del genere è semplicemente uva marcia, decomposta, in putrefazione che dir si voglia e se qualcosa mi ha insegnato Super Quark è proprio di non mangiare cose putrefatte (oltre che non mangiare la neve gialla. Ma forse quello era Frank Zappa).

Il vino naturale è uva marcia. Il vino naturale, se non è fatto con scrupolosissimi accorgimenti, controlli maniacali è solo un cadavere.