Nella mia enoteca di fiducia ho carta bianca nello girare fra gli scaffali, andare in magazzino e tirare fuori le bottiglie più assurde dagli angoli più assurdi dello scantinato. Scopro delle bottiglie di Magnificat Drei Donà, annata 1998. Un Cabernet Sauvignon emiliano. Sull’etichetta il prezzo è in euro. Speravo di trovarlo in lire, sarebbe stato molto nostalgico.
Il proprietario resta sorpreso dal mio ritrovamento. “Questa roba la vendevo nel 2002 a 30 euro a bottiglia”.
Rigiro la bottiglia fra le mani, l’etichetta è consumata e ingiallita dal tempo. Controllo il tappo, sembra a posto e fiuto l’affare. “E ora a quanto la vendi?”
“Mah… fai te… è roba che sta lì da vent’anni”
“Cinque euro”
“Va bene”
Tengo fra le braccia una bottiglia di 22 anni fa, la cullo mentre la porto a casa, quasi investo un ciclista e passo col rosso. Sto guidando mentre cullo la bottiglia, credo che tutto questo sia sconsigliato nel manuale per l’esame della patente.
A casa pulisco il decanter mai utilizzato. Controllo l’orologio. Bottiglia di 22 anni, quindi: mezz’ora per ogni anno come regola empirica. Tra 11 ore si beve.
Se apro questa bottiglia alle 8 di domani mattina, alle 19 sarà pronta per essere bevuta.
Punto la sveglia alle 7, come sempre.
Alle 5 sono in piedi e osservo al buio questo Magnificat 1998. Non vedo niente, perché è buio. Accendo la luce.
Quando nasceva questo vino la Francia vinceva il mondiale, Marilyn Manson pubblicava “The dope show”, si parlava della strage del Cernis, usciva Titanic e andavo a vederlo sperando di rimorchiare una quindicenne come me approfittando della sua crisi di pianto per la morte di Leonardo Di Caprio.
Attendo con pazienza le 8. Stappo. Verso nel decanter questo prezioso nettare che, anche se è costato solo 5 euro, è prezioso e capisco solo ora che il valore delle cose non si misura solo col denaro.
Metto una retina di metallo sulla bocca del decanter per evitare che qualche inutile moscerino ci voglia fare il bagno dentro. Creature immonde che non siete altro.
Durante la giornata lavorativa incontro clienti e fornitori, a tutti racconto la mia storia “stasera bevo una bottiglia del 1998”, nessuno sembra impressionato. Siete tutti senza cuore, pensate solo ai soldi, mi fate schifo.
Arrivo a casa, il decanter è come se emanasse una luce propria, gli vado incontro, lo muovo appena e faccio scorrere il vino sulle pareti. Verso poco di quel vino nel miglior bicchiere che ho.
Il colore tradisce l’età, granato con riflessi aranciati, bisogna fare presto a bere questo vino prima che degradi totalmente. Ma il colore è ancora pieno, forse l’affare che ho fiutato è stato davvero un grande affare.
Il profumo è complesso, pieno di sentori che si inseguono, dopo 11 ore si è aperto e rivela tutta la sua forza. Profumi terziari ancora potenti, senza stranezze e senza difetti. Non servirebbe andare oltre per capire che questa bottiglia non poteva invecchiare meglio di così. Qui non si parla di invecchiamento ma di maturazione.
Il gusto è ancora inaspettatamente fresco, sapido, il tannino è ancora ben presente. Si nota uno slegamento che dopo tutto questo tempo è inevitabile, così come anche Leonardo Di Caprio inizia ad avere qualche capello bianco. Non che per questo anche le quindicenni di allora, adesso splendide quarantenni, non valgano la pena di essere insidiate.
Dopo ventidue anni era impensabile trovare tutta questa forza ancora ben presente, il rischio che mi sono preso per cinque euro era quello di trovare dell’aceto o del vino completamente seduto, senza carattere. Invece ho un vino che ha ancora tanto da dare e che può dire la sua. Soprattutto perché l’ho pagato praticamente niente e per cifre più alte a volte si bevono delle schifezze.
Non faccio la scheda di valutazione, questo vino è fuori parametro, è da classificare nella categoria OVER e avrebbe bisogno di un sistema di valutazione tutto suo.
Domani mattina torno nel magazzino dell’enoteca e compro tutto. Da domani faccio collezione del Magnificat 1998.
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